domenica 25 novembre 2012

Sesso, kinbaku e videotape

Qualche sera fa mi è capitato di andare con un’amica in un club privée. Ovviamente - e come sempre – eravamo forniti di corde e fruste e frustini. Era la nostra “prima volta” in quel club e non sapevamo neanche se avremmo potuto tirar fuori l’attrezzatura e divertirci a “modo nostro” o se invece avremmo potuto solo scambiare qualche chiacchiera con proprietari e frequentatori, conoscere qualche persona reale fuori dall’onnipresente rete e, magari, iniziare un qualche dialogo interessante con persone in carne ed ossa.

La prima sorpresa, in fondo al corridoio a sinistra, è stata una stanza, una stanza intera, dedicata al SM con tanto di gogna, croce di Sant’Andrea, gabbia, trespolo per le sospensioni e una poltrona clinical di pelle nera da far invidia ad un film FemDom americano.
Il tutto sotto un soffitto a volta dal sapore mediamente antico come piace a me.


La seconda sorpresa, veramente bella, è stata il via libera del proprietario per le nostre pratiche ma, soprattutto il gradimento degli altri clienti per gli scorci di SM presentati, nessuno particolarmente estremo ma nessuno inventato o inscenato a mero uso spettacolare: a parte l’esclusione di pratiche un po’ “forti” niente che non si veda anche in un play party SM, come intensità e rigore della “punizione” somministrata, punizione che - data la partner - era il massimo del premio.

Verso la fine della serata il proprietario del locale – rotti gli indugi professionali - si avvicina e mi chiede, soprattutto relativamente alle corde, “ma una volta che leghi una donna poi che ci fai?”.

Bella domanda! Ci ho messo mezz’ora solo per spiegargli perché la cosa non è così semplice. Una spiegazione un po’ così, ovviamente, alla buona per “non addetti” ma che, alla fine, come tutte le cose semplificate, mi sembra sia arrivata a segno meglio dei trattati universitari o dei manuali di BDSM.

La storia è quello che succede mentre noi pensiamo di fare altro. 

Per capire come mai è difficile rispondere ad una domanda così semplice bisogna tornare indietro al secondo dopoguerra e citare a memoria due nomi importanti nel bondage fatto con le corde (rope bondage): John Willie e Takashi Tsujimura.

Sweet Gwendoline - John Willie
No, aspettate un attimo prima d'eclissarvi verso siti più divertenti, non è una lezione di storia, per carità, è solo un piccolo passaggio sul passato per tornare subito al presente. Nel 1947 John Willie inventa una rivista chiamata Bizarre e nel 1948 in Giappone esce il primo numero di una rivista chiamata Kitan Club. Le attività ludiche sospese dalla guerra ricominciano in occidente e in oriente, sostanzialmente, con queste due riviste. Se faticate a prendere quota vi aiuto io. John Willie è quello di “Sweet Gwendoline” di cui trovate qui vicino un’immagine abbastanza rappresentativa. Il filone è delle Damsels in Distress, per capirci, le signorine legate, rapite e seviziate. Più o meno nello stesso periodo un signore dal nome complicato, Takashi Tsujimura, inizia a collaborare in Giappone alla rivista Kitan e grazie al suo impulso il magazine di “cose strane” diventa un contenitore di SM, bondage incluso.

Nel 1950 circa i nemici di un tempo, i giapponesi e gli americani, sono impegnati in una brutta cosa che si chiama guerra, insieme questa volta (giocoforza per i giapponesi, ovviamente) contro la Corea del Nord. In questo periodo e in modo ufficiale inizia il passaggio di stili, nodi e concetti tra occidente e oriente, tra gusto giapponese e stile occidentale, tra John Willie e Takashi Tsujimura che si copiano e si ispirano uno con l’altro fino alla pubblicazione dei lavori di John Willie sul Kitan Club. 
Colpo di scena!! Sì è così: il magazine sacro del legare giapponese ospita i lavori di un “occidentale” ben poco “giappo” come John Willie e la sua Gwendoline, fin dal 1952.

Copertina Kitan Club 1954 - Takate kote Gote
Eppure, nonostante questo travaso continuo tra oriente e occidente abbia iniziato a realizzarsi già prima del 1952, nonostante ci siano immagini che provano e comprovano cosa i giapponesi hanno copiato dagli occidentali e cosa gli occidentali hanno copiato dai giapponesi, ancora oggi la mania (a dire il vero tutta occidentale) di distinguere e sottolineare differenze e origini, forse giuto per darsi un tono esotico di orientale saggezza, ha creato una distinzione un po’ artificiosa e forzata tra “legare all’occidentale” - western bondage - e “legare alla giapponese” - shibari/kinbaku.

Quindi prima di dire “che si fa di una donna una volta che la si lega” si dovrebbe, per dare soddisfazione ai duri e puri delle rispettive “scuole” (occidentale o giapponese) , dichiarare a quale campanile si aderisce e a quale “partito bondagico” si è tesserati.

Sembra facile allora, basta far finta che questa suddivisione esista solo nella testa degli “addetti a lavori”, lasciare a loro i discorsi di lana caprina e parlare in modo generico di bondage con le corde senza specificare a quale “esercito” si fa riferimento, tanto a chi di bondage sa poco questa sottigliezza poco interessa, così come poco interessa a chi scrive, non so se si era capito ...

Sarebbe bello ma non è così. La spiegazione del “cosa ci fai con una donna dopo averla legata” qui da noi – anche quando si riesce a cancellare la separazione pretestuosa tra occidente ed oriente - è ancora complicata dal fatto che tutto deve essere o nero o bianco e se una cosa è nero e bianco insieme non va bene perché poi ci mancano gli argomenti per litigare. In virtù e in grazia del fatto che a noi piace tanto litigare, soprattutto in Italia, ci si ritrova alla fine a contare almeno tre diverse “filosofie” connesse all’arte del legare, che la vogliate chiamare bondage occidentale o kinbaku/shibari o con altro nome di vostra fantasia.

Ho personalmente battezzato le tre filosofie come “la via dello Zen”, la “via dell’Arte” e la “via del SM”. Il perché abbia etichettato questi tre filoni di pensiero proprio con quei nomi e non altri lo spiegherò in seguito. Per ora vi dico che, curiosamente, queste tre vie hanno aspetti simili sia che vengano professate da legatori occidentali che legano all’occidentale sia che vengano professate da legatori occidentali che legano alla giapponese.

La prima riflessione che mi viene in mente, proprio ascoltando i miei compagni di corde occidentali, è che possiamo anche legare alla giapponese ma prima di essere giapponesi e legare “sentendo” alla giapponse, forse dobbiamo iniziare a vivere in Giappone, forse mangiare in Giappone e forse anche studiare in Giappone. Anche essere nati in Giappone da genitori giapponesi aiuterebbe, giusto un pochino.
Per questo motivo più avanti mi farò sostituire dalla parole di un giapponese di prim’ordine anche se ormai passato a (spero per lui) miglior vita lasciando a noi l’onere di gestire un sacco di suoi “eredi spirituali” più o meno accreditati.

Ma per arrivarci passo a passo iniziamo a giocherellare un pochino con le corde.

Quella che chiamo la “via Zen” prevede legature che liberino lo spirito imprigionando il corpo. E’ una pratica che per scrupolo ho cercato nei siti Zen ma non ho trovato. Mentre nei siti e nei blog di bondage spesso si riecheggia lo Zen viceversa non ho trovato un solo accenno di bondage o shibari o kinbaku nei siti Zen. Il motivo non mi è ancora del tutto chiaro ma mi riprometto di chiedere a qualche Maestro Zen e attendere con pazienza una risposta, se risposta ci sarà.

Hog tie by me ;-) ...

Bisogna però dare a Cesare quel che è di Cesare: veder “volare” una persona in un hog-tie (vedasi figura nelle vicinanze) non è cosa che capita raramente, anzi, nella mia esperienza è la cosa che succede più frequentemente. Ci credo, così chiusa e impacchettata, vincolata e protetta una persona che può fare se non abbandonarsi nel ventre materno e tornare alle delizie del pre-nascita?

Però ci sono tecniche di rilassamento anche più efficaci, con minor dispendio di denaro in corde e seminari per chi vi deve legare, con maggiore efficacia e costi ridotti; ad esempio con 45 minuti di massaggio craniosacrale ottenete lo stesso effetto; niente di trascendentale quindi nel bondage occidentale o giapponesiforme, distesi e legati si realizza all’incirca lo stesso meccanismo di attivazione del sistema che i terapeuti chiamano parasimpatico ed è questo meccanimso noto da tempo a darvi la sensazione di volare alleggeriti del vostro corpo. Provare per credere!

Bondage by Esinem. Foto Manuel Vason per .Cent magazine
La seconda via è la “via dell’Arte”. Sì, lo ammetto, alcune foto di bondage sono oggetti d’arte molto incisivi, sono foto di un estremo rigore tecnico, scattate con mano professionale su legature elaborate e complesse. Sì molte sono indubbiamente belle. Belle come una scultura di marmo, o un quadro espressionista. Ma poi guardi e ti rendi conto che quella posizione fotografata può essere mantenuta sì e no tre secondi se no un qualche pezzetto della modella, per forza di cose, deve andare fuori posto. Poi guardi e ti chiedi “ma se la modella non fosse stata così bella la foto come sarebbe stata?”. Poi guardi e ti chiedi … “ma … è arte la foto o è arte la legatura?” Il bondage “forma d’arte” è diverso dal bondage “soggetto d’arte”. Su questo è ora di mettere un punto fermo. In cosa differiscano un soggetto d’arte e una forma d’arte lascio a voi il piacere focalizzarlo pensando ad un quadro perfettamente eseguito che però rappresenta un polmone lessato.

Non puoi capire le corde se non ami la costrizione”.


Questo è stato detto (in mia presenza) da una modella al suo compagno che cercava di farsi spiegare che ci trovasse (lei) di bello nel farsi legare. Non puoi capire le corde, la loro bellezza, la pienezza e la forza del loro uso se non le cali nel mondo in cui una è costretta, legata, inerme in balia di un altro. Non puoi capire la bellezza delle corde se non capisci lo scintillante, misterioso, caldo, destabilizzante, sensuale, coinvolgente, avvolgente, emozionante, vibrante mondo del SadoMaso.

Le corde, a mio parere, non sono e non possono essere un corpo a sé nel “BDSM” ma sono in tutto e per tutto SM, quel SM che ha il sapore di sottomissione e scambio di potere, affidarsi ed abbandonarsi a chi comanda il gioco in forme sempre diverse ma che, alla fine, cantano lo stesso spartito.

Questa quindi la “via del SM”. Siccome io sono un sostenitore della terza via (non che le altre due mi dispiacciono, se subordinate alla mia preferita) la risposta al signore del locale non poteva che essere: “se accarezzi la ragazza che leghi mentre la leghi, se lei si eccita nell’essere costretta e accarezzata, se la torturi mentre e dopo averla legata e lei si eccita nell’essere legata e torturata, se la penetri o la fai penetrare da altri allora col bondage ci puoi fare tante tante cose interessanti“.

Chiaro che se vuoi stare nel SM ogni cosa che fai prima, durante e dopo la legatura deve essere consensulamente desiderato da tutti ma così la costrizione con le corde, a questo punto anche quella “acrobatica”, ha un suo significato e una sua ragione d’essere di per sé. Per una sub essere appesa e impotente, impossibilitata a difendersi ha un valore costrittivo e umiliativo di grande impatto. Il dover “subire” le sevizie e le attenzioni sessuali di uno o più uomini che di lei si interessano e si prendono cura diventa un motivo di forte emozione, che amplifica il suo ruolo; da legata, “costretta”, soddisfarli tutti e da tutti essere soddisfatta può diventare molto più che una banale gang band come ormai se ne fanno pure nelle riunioni condominiali.

Avevo scritto all’inizio che per investigare nella bellezza del rope bondage inteso anche come sintesi delle tre vie, nessuna esclusa ma nessuna più importante delle altre, non avrei potuto che lasciarvi tra le mani di un uomo, una persona grande nella sua vita difficile come è stato grande nel kinbaku e nel SM.

Nel leggere questa traduzione e queste righe di vita vissuta vien fuori, a mio parere, una visone sensuale del rope bondage, una sorta di esaltazione del SM e della dominazione, della bellezza nella sofferenza inflitta al fine di erotizzarla e sessualizzarla in piacere, quella via che molti “legatori”, Akechi Denki in testa, perseguono, senza dimenticare le altre ma con intenso piacere, dando alle corde un sapore più intimo di relazione e di complicità se non anche di condivisione.

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Il testo che segue è il condensato di due interviste rilasciate da Akechi Denki (nome d’arte di Akechi Shi) grande protagonista della scena SM giapponese fino a 2005, anno della sua prematura scomparsa.
Da uomo e da praticante credo sia una vita che vale la pena venga raccontata.

Akechi Shi nasce in Giappone nel secondo dopoguerra (1946), in un nazione prostrata dalle uniche due atomiche mai fatte esplodere a scopi bellici, in un paese che ancora non ha neanche la forza di seppellire i suoi morti ma che vuole sopravvivere, ha la necessità di sopravvivere, gettarsi alle spalle il passato, ricominciare a fare e sperare.

Da qui la parola ad Akechi Shi

Akechi Denki
Alla scuola media diversi livelli di scolari venivano ammassati nella stessa classe. Quando era il momento di mangiare diversi studenti venivano usualmente lasciati a parte perché non portavano un cestino per il pranzo; dovevano arrangiarsi con un bicchiere d'acqua. Per me c'era, il più delle volte, appena un po' di riso con una prugna sott'aceto sopra. Vidi morire molti studenti durante i miei anni di scuola, a quel tempo non c'era nulla di strano.

Mentre crescevo ero fortemente interessato al corpo delle donne. Avevo una ragazza vicina di casa con la quale ero in stretta relazione fin dall'asilo. Con lei spesso giocavo al dottore. Il fatto che non avesse un organo sessuale maschile era molto strano, come se fosse stato ridotto ad un sassolino. Feci alcune cose piuttosto stravaganti. Dopo questo periodo fui molto attratto dai sederi femminili. Spesso spiavo nei bagni dalle piccole finestrelle. Conoscevo in dettaglio tutti i bagni pubblici del circondario.

Quando la vidi [si riferisce ad una copia della rivista Kitan Club, una rivista SM fondata nel 1945] in un vecchio negozio di libri vicino a casa fu un'esperienza che avrei ricordato per tutto il resto della mia vita. Girando le pagine vidi donne che venivano legate, maltrattate, e fu abbastanza sconvolgente da bruciarmi il corpo. Mentre stavo per tirare fuori i soldi per comprare la rivista il proprietario mi abbaiò dietro: "questa non è roba per bambini. Come ti chiami?" e fui costretto a scrivere il mio nome e il mio indirizzo (ride). Al momento rimasi angosciato e pensai a diverse strategie. Un negozio vicino non era fornito. E pensai anche di chiedere ai miei zii. Alla fine acchiappai la bicicletta ed andai ad un negozio di prestito libri nella città vicina, affittai un copia del Kitan Club senza nessuna osservazione dal proprietario del negozio. Appena uscii dal negozio mi misi a pedalare veloce quanto potevo.

Siccome avevamo una buona relazione [si riferisce ad una sua amica] fino al terzo anno di scuola superiore facevamo il bagno insieme. Giocavamo al dottore. Io avrei voluto legarla e farla rotolare a terra. Però venimmo sorpresi dai suoi genitori e loro iniziarono a rincorrermi.

Nel SM c'è una relazione di fiducia. Se il partner non affida completamente il suo corpo con una completa pace mentale è facile che capitino gli incidenti. Quando sto eseguendo una performance io lego piuttosto duramente. 

Naturalmente do una grandissima importanza ai limiti della partner. Appena finito l'abbraccio con tenerezza dicendole qualcosa di carino come "sei stata molto coraggiosa". In quel momento la tensione del kinbaku scompare di colpo e la modella, mentre scarica grandi lacrime, si rifugia tra le mie braccia. In questo momento l'espressione delle ragazze è molto carina. 

La prima esperienza reale di Akechi Shi è raccontata così:

Devi capire [si rivolge ad Osada Steve che lo sta intervistando] che la gente come me, la vecchia generazione, ha inziato questo tipo di cose nell’adolescenza. Noi avevamo riviste come il vecchio Kitan Club (non più pubblicato) e cercavamo d’imitare quello che vedevamo nelle riviste, lavori con la corda molto più semplici di quelli che vedi al giorno d’oggi. E si praticava molto. Non solo corde ma tutte le abilità che usavamo negli spettacoli sadomaso. Io avevo una frusta di cinque o sei metri dall’America – una vera frusta da cow-boy. Praticavo per ore lanciandola ancora e ancora e ancora fin quando non imparai come usarla in uno spazio confinato e colpire con precisione. Noi acquisivamo esperienza attraverso la ripetizione delle pratiche.

Ma la cosa più importante è avere una partner con la quale condividire una relazione profonda e basata sulla fiducia. Questa fu la parte più difficile per me – trovare partner. Quarant'anni fa non potevi giusto venir fuori e dire che eri interessato al sadomaso. Non c’erano club sadomaso dove andare e trovare una donna che desiderava essere legata. Così dovevo incontrarmi con una ragazza “regolare” e farle la corte in modo “regolare”, portarla ai caffè e al cinema per sei mesi o perfino un anno, creare una relazione molto profonda prima di azzardarmi a presentarle il bondage. E anche in questo modo molte ragazze erano traumatizzate e inorridite quando tiravo fuori una corda. Mi lasciavano immediatamente. Alla fine una mi disse “Ok, ma solo un pochino”. Ero così grato che piangevo quando iniziai a legarla. Avrei fatto qualsiasi cosa per lei. Fu come aver trovato un gioiello prezioso.

Avevo allora sedici o diciassette anni. Lo ricordo perché a quei tempi non ti era permesso di entrare in un caffé fino a quando non avevi 18 anni. La ragazza lavorava come cameriera in un caffè. La prima volta andammo in un posto tipo un dormitorio. Io avevo un sistema digestivo piuttosto fragile e così indossavo sempre un sarashi, così lo usai per legarla (un sarashi e un indumento di cotone lungo e sottile che è arrotolato intorno allo stomaco perché la medicina orrientale insegna che è importante tenere gli organi interni al caldo.). Finché indossai un sarashi ero sempre preparato a cogliere un’opportunità di bondage.

Poi le cose per la famiglia di Akechi Shi vanno molto male e lui si ritrova a fare l’apprendista muratore.

Dal momento che si viveva lì dovevamo alzarci alle 6. L'atmosfera era un po' come essere in carcere. Naturalmente era fuori questione persino toccare gli strumenti. Bisognava imparare soltanto guardando.

Quando il dottore mi disse che difficilmente sarei vissuto oltre i trent'anni mi si oscurò la vista. Ma intristirmi non sarebbe servito a niente. Avevo due sorelle minori che erano state affidate a parenti diversi. Ogni tanto ricevevo delle lettere; non c'era una menzione specifica alla solitudine o alle difficoltà ma lo si poteva sentire dal tono generale delle lettere. Promisi a me stesso che avrei comprato una casa in cui di nuovo tutta la famiglia avrebbe vissuto unita. Se avessi vissuto ogni giorno con doppia intensità magari anche se fossi morto a 30 anni sarebbe stato come morire a 60.
Molto semplice, il trucco era non dormire.

Poi parla del suo modo di provare su se stesso i primi esperimenti seri di bondage.

Eseguii [su se stesso] anche alcune legature dello tsuri [tsuri zene – tortura a mezzo di sospensione della polizia giapponese nel periodo Edo] e probabilmente feci alcuni lavori di legatura assurdi. Mi ricordo che legare me stesso mi creava una strana sensazione d'intossicazione psicologia. Così penso che S ed M sono due lati di una stessa entità.

A notte fonda, quando il posto di lavoro era deserto io cercai di convincere una ragazza che lavorava per la mia società a farsi legare. Siccome il mio cuore non era molto in forma io indossavo sempre un sarashi sotto i miei vestiti. Lo presi e lo usai per legare la ragazza. Siccome il posto era spesso usato come negozio o magazzino noi giravamo nudi tra casse e manichini. Inventai un certo numero di giochi in quel periodo. Sebbene per un proprietario di un'azienda sedurre una dipendente richiedesse (a causa delle possibili future conseguenze) una certa quantità di audacia in questo modo ottenni anche una buona conoscenza [comprensione] del kinbaku.

In ogni caso iniziai a pensare che avevo solo dieci anni da vivere. Per me una ragazza (una fidanzata) era qualcuna che accettava di morire con me. Mi predevo giusto 3-4 ore di sonno a settima andando in giro in auto con la mia ragazza nella notte. Baciandoci mentre guidavo ad una velocità folle sull'orlo di una scogliera. Questo è un modo per verificare se sei fortunato. Non sapevo se questa ragazza avrebbe retto a lungo. Ma dopo lei scivolò nello spazio sotto il piantone del volante per succhiarmi il cazzo mentro guidavo. Mentre mi godevo un lavoro di bocca arrivò un colpo di sonno e prima di capire che stava succedendo ero entrato in una casa del villaggio. Eravamo completamente nudi.

Quando compii trent'anni iniziai a sputare sangue e fui portato in ospedale.

I dipendenti venivano in ospedale e protestavano di non poter lavorare sotto quel tipo (mio padre). Mio padre protestava, i debiti iniziarono ad accumularsi. Mia moglie piangeva. Sebbene non avrei dovuto ricevere visite intorno al mio letto c'era il caos. Alla fine mia moglie si prese mio figlio appena nato e scomparve. Mi sentivo in obbligo di fare qualcosa che era davvero al di sopra delle mie forze in quel momento e barcollando come un sonnambulo girovagavo nel mezzo della notte intorno all'ospedale. Inoltre in quel periodo mi capitava spesso di arrivare ad esperienze di premorte. Fluttuavo vicino al soffitto della stanza e potevo perfino vedere la cima della testa dei miei familiari nella stanza.

Mio padre era ancora nei guai per delle dubbie speculazioni. Gli chiesi se voleva di nuovo che la famiglia finisse dispersa e iniziai a picchiarlo. Ma mio padre, normalmente cocciuto e con forti braccia, collassò a terra e coperto di sporcizia iniziò a piangere. Vedendolo iniziai anch'io a piangere: “è solo una casa, ne costruiremo un'altra, non aver paura”.

Poi parla del suo primo incontro con gli spettacoli SM del GSG Planning.

Era davvero solo un bluff. Era solo un sostituto che non avrebbe soddisfatto le persone che venivano per "cose reali". Alla fine dello show riuscii a parlare con Sakurada. 'Quello che stai facendo non è buono', gli dissi. Così gli mandai anche un intero fascio di vecchi numeri di Kitan Club. Una cosa tira l'altra e alla fine mi unii al suo gruppo teatrale come "shibarista" o supervisore.

Legare la popolarissima attrice Kurokawa Mayumi fu davvero un'ottima occasione. Lei diceva di non avere per niente tendenze sub ed era davvero bella. Non c'era un vero e proprio progamma fisso, era più come un'improvvisazione ad-lib basata sulla sensazione del posto, uno spettacolo dove la legatura era davvero costruita al momento. 
Mostrare diverse legature ogni volta è davvero, realmente difficile. Ma se ci riesci è davvero bello.

Ai tempi del GSG Planning c'era un'associazione di Membri Speciali che era una sorta di circolo dedicato ai performer fetish e io mi presi la responsabilità di quel circolo. I membri del circolo mi chiesero di ricominciare di nuovo le attività e questo fu l'inizio del Akechi Denki Club della Fotografia Kinbaku. Per inciso molti dei membri del circolo non erano così giovani e non potevano partecipare facilmente oppure erano stati riallocati e c'erano molti buchi dal punto di vista del budget. Con l'intenzione di prendere nuovi membri e fare di nuovo spettacoli iniziammo con il Phantom Show nel 1987. Il PS è il predecessore del presente [1996] Studio Phantom. 
Durante il PS feci un gran numero di ‘tsuri-otosu’ (吊り落とす, sospensioni a goccia) che consistono nel lasciar cadere la modella come una pietra da una sospensione fino a pochi centimetri dal suolo. Quando si cade la koshi-nawa [è la corda che si tiene sui fianchi] morde molto forte. E' molto impressionante da vedersi ma se fate errori la testa della modella colpisce terra e vi trovate tra le mani un grosso incidente. La tecnica richiede un buon controllo del tempo e il pieno controllo dela tensione della corda e non molte persone possono realizzarla.

C'erano anche delle volte in cui avrei tirato dei pezzi di cemento alla modella legata in modo che lei potesse schivarli solo all'ultimo momento. Lo sguardo gelato dalla paura della modella e le bocche aperte degli spettatori erano qualcosa di cui alcune volte non avevo mai abbastanza. Magari qualche volta sono andato anche un po' troppo oltre.

Dal momento che ero così interessato allo shibari andai in molte librerie e musei cercando informazioni sull’uso delle corde come armi. In un libro molto specializzato di arti marziali – ho dimenticato il titolo – trovai diagrammi per tre esempi e li studiai con grande attenzione. Imparai alcune buone tecniche in questo modo ma le riadattai per usarle nel mio lavoro. Le scuole di hojojutsu che operano attualmente custodiscono il segreto delle antiche tecniche e non penso che tollerino che le loro tecniche appaiano in riviste sadomaso.

Nell’era Sengoku (circa 1478 – 1605) i guerrieri portavano corde come armi. Se perdevi la spada potevi acchiappare la tua corda e usarla per deviare la spada del nemico. Potevi lanciarla come un lazo per avvolgere la spada del tuo nemico o mettere pesi ad entrambe le estremità della corda e lanciarla così da avvolgere il corpo del tuo nemico e immobilizzarlo oppure avvolgerla intorno al suo collo per strangolarlo. Ho paura che molta di questa conoscenza non è stata tramandata [è stata persa].

Ma alcune moderne polizie e forze militari usano tecniche simili. Le forze speciali italiane e statunitensi usano corde per immobilizzare i prigionieri, legando i polsi e immobilizzando i pollici. E’ semplice ma molto efficiente e molto più a buon mercato che le manette. Ho sentito dire che hanno imparato queste tecniche dalle arti marziali tradizionali giapponesi e che le corde che usano sono molto buone.

Ho fatto ricerche anche sulle tecniche della polizia nel periodo Edo. Gli ufficiali di polizia avevano diversi tipi di legature in funzione dello stato sociale delle persone che dovevano trattare e svilupparono diversi modi di legare in funzione di come dovevano essere trasportate. Per esempio se i prigionieri erano inviati per nave alle isole penali dovevano avere le gambe libere per potersi avvicinare al lato della nave nel caso avessero mal di mare.

Per me la cosa più importante è che il lavoro di corda sia bello. Il mio stile si è sviluppato nel corso di spettacoli sul palco, nei tempi in cui non c’erano ancora i video. Sentivo che era importante dare agli spettatori qualcosa di unico, qualcosa che non avevano mai visto prima. Così sviluppai il mio stile. L’idea venne da dentro me e il mio goal, il mio principio guida, è di non ripetere mai due volte la stessa legatura. Naturalmente alcune volte capita che alla fine mi ripeta ma nella mente io cerco sempre di fare qualcosa di completamente nuovo. Così anche ora il mio stile sta ancora cambiando e si sta ancora evolvendo.

Quando vado sul palco, all’inizio dello spettacolo, io non ho alcuna idea di quello che sto per andare e a fare. Svuoto la mente e in questo modo le idee semplicemente arrivano a me, dall’interno o dalla partner con la quale sto lavorando. Alcune volte le corde si muovono da sole e le mie mani semplicemente seguono e questa è sempre un’esperienza sorprendente. Io, semplicemente, scompaio. Lo shibari è sempre molto bello quando questo accade.

Akechi Denki muore, come già scritto, nel 2005 più che raddoppiando le aspettative di vita che gli avevano dato i dottori anche solo in termini di conta degli anni ma, probabilmente, vivendo in una sola vita la vita di molti di noi.

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