Vaniglia,
in inglese vanilla, è la parola usata dai praticanti sadomaso per indicare
tutto ciò che non è sadomaso, il sesso non sadomaso, le relazioni non sadomaso,
i giocattoli erotici non sadomaso, i rarissimi e misconosciuti videoclip di
Lady Gaga non sadomaso.
Mi
hanno chiesto di scrivere un racconto erotico totalmente vanilla, una storia
che non avesse niente di sadomaso, nessun accenno, nessuna allusione, nessuna
suggestione, nessun riferimento al sadomaso: un editore non dovrebbe avere il
diritto di torturare così i suoi autori, non sempre almeno, non tutti almeno,
non me … per certo.
La fate facile
voi, ed è davvero facile se non avete vissuto e respirato sadomaso fin dai
tempi di Tutankamon, se non frequentate quasi esclusivamente amici sadomaso, se
non parlate e non vivete il sadomaso se non per qualche pubblicità di jeans
prestrappati; comunque, anche se non siete così, anche se non siete dei
vanillosi normalosi e vi sentite, e siete, dei veri trasgressivi frustaioli, il
mio problema non cambia: mi hanno chiesto di scrivere un racconto erotico senza
sadomaso e io, coglione, ho pure accettato.
Dopo la
telefonata, nella quieta solitudine del bagno, assiso sul water in meditazione
trascendentale, ripercorro i come e i perché della mia scomoda posizione e mi
rendo conto d’essere entrato, con i miei stessi incauti piedi, in un labirinto
dedalico: io non so neanche da dove cominciare, neanche me lo ricordo come si
fa una scopata senza sadomaso, neanche so se esiste una scopata senza sadomaso,
mai considerato neanche lontanamente l’idea di dover, anche solo
letterariamente, rinunciare al sadomaso.
Per quattro
giorni mi sono aggirato nell’ufficio inviperito e frustrato cercando
d’immaginare amplessi che non iniziassero o non finissero con qualche graziosa
tortura, qualche deliziosa sevizia, una qualche dolce efferata violenza.
Quattro giorni di pura angoscia, quattro giorni di straziante agonia, al quinto
mi sono arreso, falliti tutti i tentativi d’immaginare una qualsiasi situazione
erotica senza il necessario e naturale apporto di perversione sadomaso, falliti
i tentativi di mantenere viva l’eccitazione per un bel corpo femminile senza
pensarlo strettamente legato in artistici giri di corda, naufragata l’illusione
d’esser ri-omologabile con un semplice schiocco di dita e poter immaginare,
anche solo immaginare, un amplesso senza urli di straziante dolore e mi sono
collegato ad un sito di escort decidendomi, da vero professionista, a
rivolgermi ad una vera professionista per la necessaria … ispirazione.
Ho passato più di
qualche ora a consultare profili e foto di svariate ragazze senza mai neanche
iniziare a comporre un numero di cellulare. Vi assicuro che davvero vorrei
farlo, tutto farei pur di scrivere qualche riga d’erotismo totalmente vanilla
ma quella strada m’è sembrata fin troppo squallida, meccanica, priva d’anima e,
a suo modo, ancora più perversa: del tutto aliena a me a al mio portafoglio.
Alla fine mi
decido per un tipo diverso di specialista e chiamo la mia ex consulente del
lavoro, psicologia ed esperta sia nel campo variegato delle dinamiche di gruppo
sia in quello delle mie personali menate. Sono sicuro che mi può aiutare, non
so come ma per certo, in qualche modo, mi aiuterà. Spero.
-
Ciao Marta, come stai?
Marta sta sempre
bene per definizione, ha quarant’annuzzi suonati ma sembra la sorella minore di
mia figlia, che ne ha ventitrè.
-
Come una merda sto, ma se devo dirlo
in altre parole preferisco dirti che sto bene.
-
Come al solito, allora.
-
No peggio. Che vuoi?
Marta sa che io
la chiamo solo se ho un urgente bisogno di qualcosa, di qualcosa d’importante,
di qualcosa di fondamentale. Marta sa questo perché Marta mi conosce bene ma,
soprattutto, conosce perfettamente il suo onorario e sa, altrettanto bene, che io non sono un masochista finanziario.
-
Diciamo che avrei bisogno di … come
dirla se non così? … Scopare.
Silenzio
dall’altra parte del telefono, preoccupante silenzio. M’accorgo che, forse, ho
fatto una gaffe epocale. O forse no?
-
Scusa, magari non mi sono spiegato
bene, non intendevo con te …
-
Perché no? Sono proprio così da
buttare?
Marta, se avete
una buona memoria a breve termine e vi ricordate come l’ho descritta qualche
riga sopra, non è per niente da buttare, anzi. Rinunciare a Marta sarebbe un
po’ come rinunciare a qualche ora di sesso con Sharon Stone solo perché ha le
occhiaie, tutto qui.
-
No, non era questo il punto, con te
o con un’altra, non fraintendermi di nuovo,
sarebbe lo stesso, certo meglio con te … Dicevo, insomma, ci possiamo
vedere?
-
… ma sei così in fregola? Passi tu o
vengo io con una scorta di preservativi?
Marta non si
capisce mai quando scherza e quando fa sul serio e io ho la strana impressione
che non scherzi mai. Sì, insomma, lei prende davvero con professionalità e
impegno il suo lavoro ma non mi è mai capitato di pensarla in versione “bomba
sexy prezzolata” pronta ad amplessi selvaggi pur di mantenersi un cliente di
seconda scelta, lievemente sfigato e dotato di discutibili risorse finanziarie
come me.
E’, in fin dei
conti, decisamente uno scherzo, almeno così penso, all’inizio.
-
Marta, non ti ci mettere anche tu,
davvero ho la necessità impellente ma professionale di avere un rapporto
sessuale con una donna di classe, disinibita e che sappia gestire la sua sessualità
dispensando e godendo del piacere senza pregiudizi …
Mentre sparo a
raffica le suddette minchiate mi passa per la testa che questo potrebbe essere,
parola per parola, proprio il suo profilo e mi stupisco di non averla mai
considerata, fino ad ora, sotto questo destabilizzante quanto arrapante aspetto
sessuale.
-
Appunto dicevo, quando vengo? Nel
senso di “quando ti raggiungo?” ovviamente.
-
Grazie per la sollecitudine ma è
meglio ti “raggiunga” io a casa tua, così ti spiego la cosa senza forzature e senza
equivoci …
-
Ma … casa mia, a dire il vero, ci
sono i bambini …
-
Ecco, appunto, tanto ci vorranno sì
e no dieci minuti, non ho molto da dire …
-
Mi libero in pochi minuti,
aspettami, sei in ufficio vero?
Vaffanculo alle
donne in carriera volitive e decisioniste! Potrei mentire, sì lo potrei,
certamente, ma Marta ha lunghe gambe affusolate e porta di quelle camicette
strette strette che mi fanno venir sempre una voglia pazzesca di strapparle a
zampate. Potrei inventare una riunione oppure un appuntamento ma Marta è come
se fosse il sogno erotico del novanta per cento dei maschi italiani e chi sono
io per farmi compiangere da tutta questa gente? Potrei trovare una scusa banale
ma Marta è sempre Marta e, francamente, se capita d’essere costretto ad un
amplesso vanilla per amore della letteratura cosa c’è di meglio se non
consumarlo con una psicologa gemella sputata della Stone cinematografica?
-
Va bene ma davvero io voglio solo
parlare del mio problema.
-
Sì sì, certo, arrivo non
preoccuparti, poi parliamo … poi.
Non so perché ma
non mi sento preso molto sul serio.
Non ci mette
molto, anzi decisamente sospetto abbia scoperto il segreto del teletrasporto:
si presenta alla porta dopo neanche un’ora, radiosa, con un vestitino rosso
rosso, attillato attillato e provocante provocante, i seni pieni ben
evidenziati, importanti, le lunghe gambe inguainate in nere calze e classiche,
immancabili scarpette in vernice tacco dodici con relativo portamento annesso:
una vera baldracca, insomma, ma di quelle che ti fanno dimenticare pure il tuo
nome, anche se lo devi declinare per farti pagare una fattura.
-
Ti sarebbe possibile chiudere la
bocca tesoro? E’ disturbante fare il censimento delle tue otturazioni.
Chiudo la bocca,
in effetti era lievemente splancata, e la invito ad entrare nel mio ufficio,
quello in fondo al corridoio, una stanza luminosa, una scrivania in ciliegio,
qualche arredo sostanziale, tre sedie e un tavolo rotondo per riunirmi con i
miei fantasmi.
-
Siediti pure dove vuoi.
Mi guarda dal
profondo penetrante di due pozzi azzurri e mi sorride con un fremito tra labbra
e mento, poggia la pochette Gucci pitone nero (cazzo se guadagna l’amica) sulla
scrivania, spazza con un gesto ampio e teatrale le carte dal tavolo rotondo
(addio bilancio del 2009, tutto da rifare) tira su la gonnellina aderente fino
alle anche e si siede sul ripiano del tavolo a cosce larghe, come una bambolina
sconcia, un soprammobile erotico tanto kitsch quanto improbabile.
Secondo voi che
devo fare? Ovviamente mi avvicino, la guardo dritta dritta negli occhi e non
solo. E’ troppo attraente, è bello
sentire nei calzoni il calore dolce e confortante del membro che pulsa di sensi
allertati, di desiderio e di voglia.
Mi afferra la
cravatta e mi trascina verso le sue labbra, le gambe si stringono intorno a me,
ai miei fianchi, alla mia schiena, la sua lingua cerca, tra il sapore forte di
rossetto e quello lieve di saliva, il mio personale ingresso al piacere, al
desiderio. La bacio e lei si solleva, gemendo nella mia bocca, oscenamente
offrendosi, slacciando e allargando con dita agili la mia cintura, sfilandola,
passante per passante, strusciando i seni sul mio petto, le guance sulle mie
guance, la lingua, la bocca dischiusa, sul mio collo, dietro l’orecchio.
E’ un sussurro
lieve e senza sbavature, quasi un ordine che lascia dolcemente fluire, colare
come veleno di piacere, miele di lussuria, essenzio di lascivia dalle sue
labbra verso il centro dei miei sensi infiammati:
-
Ti prego … cinghiami, frustami,
picchiami, fammi male …
Ecchecazzo
ragazzi!! Iniziamo bene! Inziamo alla grande! Se per scrivere qualcosa che non
ha nulla di sadomaso m’ispiro alla scopata con una psicologa masochista sono
sulla strada giusta per il successo: la prossima volta per evadere le tasse telefono direttamente
alla guardia di finanza e chiedo un controllo a tappeto su tutta la mia
contabilità.
Che fare ora?
Invento, è chiaro. La prendo per i capelli e la ribalto sul tavolo, alla pecorina, strappando e distruggendo
anche le ultime carte sopravvissute:
tanto il bilancio del 2009 lo presento a settembre, vaffanculo. Le alzo
la gonna fino alla schiena e le abbasso le mutandine di pizzo nero a metà
coscia. Sono eccitato, cazzo se lo sono, il culo di Marta non è il culo della
Belen Rodriguez ma gareggia bene e supera per certo quello della Demi Moore.
Sono tentato,
mortalmente tentato, di darle soddisfazione e farle provare la mia cintura
sulle chiappe ma l’arte vuole le sue rinunce, i suoi sacrifici e le sue vittime
sacrificali. Le muse, capricciose figlie di
Mnemosine (guardatevi wikipedia se non ci credete) e gli editori
tormentano il poeta perché egli crei con i suoi sensi ciò che prediligono e
possono vendere meglio. Insomma, se per oscure ragione artistiche, non posso
cinghiarla, frustarla, picchiarla e farle male come da gentile ed
inequivocabile richiesta posso, almeno, prenderla dove più mi piace e, oggi, mi
piace allagarle ben bene il bucchino posteriore.
-
Tieniti larghe le natiche … con le
tue stesse mani.
Sobbalza,
singulta e, forse, vorrebbe chiedermi di smettere ma ormai è troppo tardi,
ormai è qui, ormai è nel gioco e non vuole smettere di giocare, non può
smettere di giocare perché lei stessa lo vuole, lo sogna. S’arrende
all’umiliazione e alla parte di se stessa che la desidera dal profondo.
Un sussurro:
-
Fai piano … sono quasi vergine lì.
Un sorriso
velenoso:
-
Non ti preoccupare.
Bagno le dita con
i suoi umori grondanti e li uso per lubrificarle il buchino palpitante, piano
piano dischiuso sotto il mio tocco dolce e gentile, sadicamente dolce,
perversamente gentile. Mentre raccolgo ancora il suo stesso miele di desiderio
per allargarle il grazioso, segreto buchetto la masturbo e le sussurro parole
oltraggiose, le descrivo minuziosamente il suo stesso sedere allargato dalle
sue mani raffinate, aristocratiche, curate e ingioiellate, arricchite d’anelli
portati con sobria eleganza. Le racconto del suo sesso pieno, sapientemente
depilato, oscenamente esposto al mio sguardo, al mio desiderio, ai miei occhi.
Masochista nell’anima letteralmente cola e cola e cola fin quasi all’orgasmo
sotto il mio tocco, sotto le mie intime, impietose carezze, nel gorgo delle mie
parole. La lascio solo per un istante mentre la penetro con decisione nel retto
caldo, stretto, accogliente con unico, fluido movimento fino al fondo, senza
violenza, senza fretta senza nessuna esitazione, senza nessuna pietà. Appena la
tocco di nuovo carezzandole il clitoride pulsante, il sesso gonfio di
desiderio, lei viene contraendosi e agitandosi come una serpe, ansimando e
pregandomi di sventrarla. Io non resisisto molto di più ma il tempo è
sufficiente per soddisfare, almeno in parte, le sue suppliche oscene. Mi chiedo
solo, mentre esco da lei dopo averla riempita del mio sperma, se questa è una
scopata vanilla o se debbasi, invece, considerarla sadomaso.
Ci ricomponiamo
in silenzio e alla fine saluto Marta con la promessa di una prossima volta
nella quale la frusterò davvero, fino a scarnificarla: lei è così contenta che
mi da pure un bacino prima d’uscire. Il mondo è pieno di pervertiti celati sotto
le più variegate spoglie, credetemi, è così.
Resta il problema
del racconto vanilla. Resta perché io stesso non so se ho fatto una roba così
lontana dal sadomaso. A dire il vero la suggestione c’era eccome, c’era anche
il desiderio e ordinare ad una donna di stare alla pecorina sul tavolo rotondo
d’un ufficio, tenendosi le natiche divaricate mentre la si penetra da dietro
riempendola d’insulti non sarà un sadomaso di fruste e manette, corde e croci
di Sant’Andrea ma tanto vanilla non è, secondo me.
Telefono
all’editore che conferma i miei dubbi ridacchiando sadicamente: tutto da
rifare. Cazzo!
Dopo una notte
quasi insonne di profonde riflessioni e una mattinata di variegate sorprese mi
decido, finalmente, a telefonare ad un amico (per così dire) di vecchia data,
noto puttaniere fin dai tempi dell’università, mai troppo frequentato dopo la
laurea ma mai cancellato dall’agenda.
-
Giacomo?
-
Sì? Chi parla?
-
Sono Maurizio, ciao, come stai?
-
Maurizio chi?
-
Maurizio, il tuo compagno
d’università, quello che scriveva racconti porno, ricordi?
-
Ahh sì, ricordo, quello che si
tirava le seghe nei bagni di matematica.
-
Non mi sono mai tirato seghe nei
bagni dell’istituto di matematica!!
-
Allora erano quelli di fisica, chi
si ricorda? E’ passato un casino di tempo.
Mi domando perché
l’ho chiamato e non sono il solo:
-
Perché mi hai chiamato?
-
Così, per sentire come andava e
anche per un favore che potresti farmi, se ancora frequenti i tuoi giri d’una
volta.
E’ una resa al
meretricio, lo so, ma dopo aver ricevuto la parcella di Marta per il “supporto
psicologico” del giorno prima non me la sento di lottare contro i mulini a
vento. Gli spiego come stanno le cose e aspetto per dieci minuti buoni che
smetta di ridere. Odio quando Giacomo ride così, mi sento un cretino totale e non
amo particolarmente sentirmi un cretino totale, anzi non lo amo per niente!
Cazzo!!
-
Finito di strozzarti di risate
pirla?
-
Eddai non te la prendere, ammetti
che è una stronzata grossa come una casa vero?
L’ammetto, certo
che lo ammetto ma resta il problema. Ho bisogno di trovare ispirazione in
qualche rapporto particolare, magari un po’ perverso ma non sadomaso, anzi del
tutto sado-free, senza neanche la suggestione del sadomaso.
-
Hai provato un trans?
-
Niente in contrario ma … troppo
maschio per i miei gusti sessuali.
-
Due per volta? Dico due belle
gnocche per volta?
Faccio i conti e
se si esclude la volta che … bhè in effetti no, mai provato due per volta, non
rientra nelle mie fantasie ma pare che sia una figata e io devo scrivere
qualcosa di erotico senza sadomaso: scartato il sentimental-carnale del tipo
“Liala erotica” resta solo il perverted patinato dei bravi ragazzi di American
Pie, escludendo per scelta morale (anch’io ho una morale sapete, eccheccazzo)
tutto il mondo degli amplessi selvaggi col gatto della vicina.
-
No, due per volta no, tu ne conosci
qualcuna disponibile?
-
Eccomeno, certo, una mareata.
-
In che senso una mareata?
-
Nel senso che ne conosco tante.
-
Sì? E … presentarmele?
-
Nessun problema amico mio, basta che
paghi tu … da bere.
-
Non è che mi stai proponendo solito
puttan-tour a Milano e provincia, rientro alle tre di notte in bianco
immacolato e rischi di pestaggio da magnaccia incazzati …
-
No, no è così, sereno, è una roba
tranquilla, per noi vecchietti, dalle parti di Lodi, un localino nella
campagna, un club, subito fuori città, carino, pulito, ben gestito, pieno di
bellle ragazze, vedrai.
In effetti
l’impressione è più che buona, almeno da fuori. Alle undici di sera il locale
apre i battenti e noi s’entra già un po’ brilli dopo qualche amaro (e non solo)
tracannato nei venti bar che stanno sulla strada provinciale da Milano a Lodi.
Giacomo parla con
gran confidenza ai buttafuori, mi porta in pompa magna dal proprietario
(simpatico elemento anche lui, debbasi dire) e mi fa fare la tessera
SuperSocioGold, solo dieci euro in più ma con due consumazioni gratuite ad ogni
ingresso al posto di una: un vero affarone.
Ci sediamo e
iniziamo a guardarci le tipe che pian piano entrano nel locale a piccoli
gruppi, a coppie, da sole. Gli ospiti fissi, i navigati di lungo corso,
salutano le ragazze a botte di bacini tre per uno, i più timidi, i novizi
guardano imbesugati e si danno un contegno esplorando gli oscuri fondali di
bicchieri colmi di ghiaccio, additivati con dosi massice di alcool etilico, omeopatiche
porzioni di whiskey e colorante quanto basta. Il locale, in fin della fiera, è
una specie di piccola discoteca tramutata in anticamera di bordello, la musica
è gradevolmente diffusa a milleseicento decibel da tre casse da incubo
postatomico incatenate al soffitto come prede elettroniche pronte al sacrificio
rituale e l’ambiente tende a riscaldarsi solo grazie all’arrivo di gnoccolone
chiaramente straniere, chiaramente desiderose di far cambiare tasca a più d’una
banconota da cinquanta euro, chiaramente esperte in questo sport finanziario.
Decisamente non è
il mio ambiente e l’orticaria scroto-inguinale ne è la più lampante evidenza.
-
Giacomo, scusa, io sarei un po’ a
disagio, non è che magari sarebbe meglio fare un’altra volta? Dico tra duecento
o trecento anni? Così per darmi modo di rifletterci.
-
Sttt, aspetta, tra due minuti
arrivano le nostre, vedrai che roba.
Sono puntuali, a
quanto pare, due minuti dopo, infatti, già mi sono dimenticato del mio
desiderio di tornare a casa, a dire il vero dimentico pure di averla, una casa,
del tutto. Vi dico solo una cosa: in fatto di gnocca Giacomo sa il fatto suo.
Quando entrano cade qualche mandibola, schizza via più d’un bulbo oculare, un
paio di cuori smettono per sempre di pompare emoglobina e qualche mutanda
troppo candeggiata si strappa, sottoposta ad improvvisa quanto insostenibile
trazione erettile.
Immagino che
anche per strada possa essere successo qualche accidente del genere e
focalizzando (per quanto possibile) nella memoria mi sovviene pure il rumore
stridente d’un paio di frenate e l’inconfondibile straziare accartocciante di
lamiere incidentate. Ma forse neanche è questo, semplicemente è il mio cervello
che ribollendo abbandona in fumosi vapori il cranio attraverso narici e
padiglioni auriculari.
-
Ci vado a parlare un attimo …
-
Cosa? Eeehhh?
-
Vado a parlarci un attimo …
-
Uhnn, sì … come?
Giacomo è un
omone di circa due metri e pesa tre quintali, svestito. Quando si alza da un
divanetto si sente, davvero si sente. Poggia la mano sul mio ginocchio e fa
leva. Il dolore lancinante dei legamenti crociati che esplodono sotto il suo
peso mi riporta per un attimo nel mondo dei vivi.
-
Sì, scusa, certo, parlare, ragazze …
se vuoi vengo anch’io …
-
No, no, non ti preoccupare, ci parlo
io, spiego la cosa e vedrai che saranno felici di farti divertire un po’ senza
troppe perversioni.
-
Ti sono grato …
-
Figurati caro, se poi vuoi
tangibilmente mostrare la tua gratitudine puoi sempre pagarmi un giro con la
bionda che sta al bar, sì quella con la mini nera e gli stivaloni con tacco a
spillo, mica devo scrivere racconti vanilla io.
-
Alla faccia dell’amicizia
disinteressata …
-
Perché? Non è disinteressata? A me
frega una sega del perché e del percome, basta che paghi, più disinteressato di
così …
-
Amen …
-
Così sia.
S’allontana come
una specie di palazzo caracollante su rotelle troppo piccole e le due divinità
gli sorridono (cazzo come sorridono bene!) mentre si dirige con serafica
decisione verso il loro divanetto.
Si siede e mi
sembra di cogliere fin da lì e oltre i settemila decibel delle casse, lo
scricchiolìo del divanetto che cede sotto i suoi chiletti di troppo. Le due
ridono (cazzo come ridono bene!) e lo circondano d’attenzioni; parlano un po’
con Giacomo e tra loro (cazzo come parlano bene!), mi guardano e sorridono, mi
guardano e ridono, mi guardano e … arrivano.
Sono due pantere,
due feline, una rossa da infarto e una mora da sogno. Alte, alte quasi quanto
me ma con i tacchi mi sovrastano, per certo, di qualche centimetro; sinuose e
perfidamente sensuali, belle, erotiche, favolose. Due gnocche da sballo.
La rossa mi tende
la mano, dorso in alto, quasi a sollecitare un baciamano, mi sorride con la
bocca, mi azzanna il pene con gli occhi verdi e spiritati.
-
Ciao, io sono Helda, di Romania, e
lei è Andrea di Spagna, noi per insieme in nostra casa fa solo duecento euro,
tuo amico sa, noi ti fa vedere paradiso.
Un baciamano non
si nega a nessuna Helda di Romania e la casa è davvero carina, un monolocale
con un bellissimo letto ampio e pulito, la tv accesa per evitare la fuga di
gemiti sensuali nei vicini appartamenti (la scelta del canale, Rai Educational,
denota anche una certa cultura, credo) e luci soffuse, in tono rosso-bordello
ma non sgradevoli, anzi. Mi fanno sdraiare sul letto e iniziano a spogliarmi e
spogliarsi con lenta, divertita sensualità (cazzo come sono brave a spogliarsi
con lenta e divertita sensualità!!) fino a quando restiamo completamente nudi,
totalmente e naturisticamente primordiali; tra le due pantere del sesso mi
sento come un Adam Kadmon tra Eva e Lilith, entrambe disponibili e desiderose
di farmi sentire meglio del Creatore.
Helda alla mia
sinistra giocherella con la mia asta già tesa e dura mentre Andrea, alla mia
destra, mi carezza i testicoli con dolce possesso, sopra di me si baciano e si mordono
labbra su labbra, lingua intorno a lingua, bocca su bocca. Non fingono, sono
eccitate e i loro sessi me lo dicono con l’odore forte e afrodisiaco dei loro
umori. Le tocco, le carezzo, ne sfioro i capezzoli duri, eretti, li succhio, li
mordo e mi perdo tra seni e fianchi, nel verde degli occhi di Helda, nel mare
oscuro di quelli di Andrea, nel piacere di labbra sulla mia cappella tesa e
lucida, nell’abbandono di dita e lingue che carezzano i miei capezzoli, il mio
collo, la schiena, le natiche e iniziano a succhiare anche lì, il mio ano che
sotto l’inaspettato trattamento inizia a palpitare, a dischiudersi, a reclamare
più profonde esplorazioni. Sono perso tra alcool e piacere, tra mulinare di
sensi e desiderio impellente. Non so come ma ora io sono su Helda e la
sovrasto, il cazzo teso e lucido, caldo, liscio, bagnato della loro saliva a
pochi millimetri da lei, dalla sua orchidea umida e spalancata, dalla sua
intimità pronta ad essere penentrata, esplorata, invasa.
Andrea mi afferra
l’asta, mi masturba ancora, la riveste d’un preservativo sottile ed evanescente
come la promessa di ridurre le tasse e mi guida dentro l’amica. E’ puro piacere
puro, dimentico ogni cosa e la fotto ansimandole parole di puro amore puro,
tanto sono comprese nel prezzo. E’ distillato di desiderio, quintessenza di
delizia mentre Andrea mi stimola, mi bacia soffocandomi dolcemente con la
lingua, mi carezza la schiena, le natiche, ritorna al mio ano, indugia e,
infine, mi penetra con un dito, mentre sto quasi per venire, trovando in un
solo istante come amplificare il mio piacere e, quasi, costringendomi a godere
dentro Helda: mentre io possiedo la sua amica sono penetrato, posseduto da lei,
dalla strega iberica, dalla passione che s’è fatta carne e femmina, con grandi
seni sodi e occhi di cerva selvatica.
Vengo e urlo il
mio orgasmo nel corpo di Helda, mentre ancora Andrea mi esplora nelle recondite
intimità, per un tempo che mi sembra infinito.
Non ricordo come
e non ricordo in che modo mi ritrovo nella sala del club a pagare, del tutto
insensibile e stono, il conto del mio “amico” alla sua bella della serata; cerco Giacomo e lo trovo ubriaco fradicio al
bar: mi guarda, sorride serafico e rende di botto gli ettolitri di negroni che
s’è ingurgitato usando, per pagarli, anche la mia tessera SuperSocioGold. Per fortuna non mi
rovina la giacca nuova, non molto per lo meno.
Chiamo l’editore,
due giorni dopo, ho il mio racconto vanillissimo pronto nel computer e glielo
mando per e-mail. Stasera? No grazie, stasera niente cena dal Barabba, vado a
letto presto, brodino vegetale e il “Justine” di De Sade, edizioni Oscar
Mondadori: non vorrei, ma proprio per niente, prendere qualche brutto vizio.
Bello ironico divertente mai volgare ed eccitante ! A me è piaciuto molto ! Hastral
RispondiEliminaGrazie :-)
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