giovedì 25 dicembre 2014

La Maschera


L'incenso fa scena e copre l'odore di muffa che impregna ogni angolo del dungeon. No, anzi, non "copre", si mescola. Ecco, si mescola e, con l'odore di muffa, l'incenso amalgama anche il lieve profumo di sessi bagnati.

Non so neanche come ti chiami.

Regole.

Regola numero uno: non m'importa chi sei, cosa sei, cosa fai oltre la parete del dungeon. Qui sei una cagna, un oggetto dell'arredamento, la troia che uso per divertire gli amici annoiati, carne da frusta, merce da sospendere tra ruvide corde ed esibire alle amiche sorprese.

Regola numero due: non hai un nome, non hai un volto. La maschera nera, in pelle spessa, ti aspetta al suo solito posto e tu entri, la indossi, ti spogli, stringi da te il collare sulla tua stessa gola, chiudi da te il lucchetto che t'imprigiona nella maschera. Ti metti all'angolo del dungeon, nuda, in ginocchio, la faccia rivolta al muro e aspetti.
Regola numero tre: qualsiasi cosa accada hai un solo modo per uscirne, la tua safeword o il tuo safesignal. Ma se la usi una volta, anche una sola volta, non tornerai mai più.

Regola numero quattro: ti cercherò io, se mi servirai. Se vorrai esserci dovrai esserci sempre. Altrimenti non ci sarai mai più.

Regole.

Ti ho legata a croce al centro della stanza, solo gli occhi sono liberi di scorrere avanti e indietro, seguendo i miei movimenti.
Occhi scuri con piccole, puntute, pupille.

Regole.

Oltre alla maschera e allo stretto collare borchiato che ne copre la cerniera sulla gola, oltre al pelo pubico che hai dovuto coltivare nei mesi precedenti, oltre alle pinze serrate sui capezzoli. Oltre a questo sei nuda, totalmente nuda.
Occhi puntuti mi seguono, denti bianchi su labbra dischiuse masticano dolore, il corpo lamenta nel respiro l'attesa del piacere.

Regole.

M'inginocchio dinnanzi al tuo sesso, tra le cosce divaricate e t'ignoro. Non esisti più oltre lo spettacolo osceno della tua vulva offerta al mio sguardo.

Sei bagnata, baldracchetta. Soffri e sei bagnata. Hai paura e sei bagnata. Sei bagnata di tutto questo e saperlo ti fa sentire più sporca e più inutile, ti fa bagnare ancora di più.

Un ciuffetto dopo l'altro i peli pubici spariscono, estirpati, strappati, lentamente.

Gemere in modo convincente a farmi impietosire è la tua sola arma di redenzione. Ma non la usi così bene come ti sarebbe necessario. La sottile lama di pietà che s'affila sulla mia mente eccita i miei sensi, drizza il mio membro, mi soffia via dal cervello l'altra dose di pietà.

Gemere, così come fai ora, è supplica di massacro. E' agonia di piacere, vomito di libidine.

Un lavoro pulito deve essere fatto con attenzione, con scrupolo. Il rasoio a lama libera completa l'opera delle dita. Come schiuma emolliente i tuoi umori. Se qualche piccolo taglio ne risulterà, abbi pazienza, non sono il tuo estetista, fattene una ragione.

Pinze e pesetti alle grandi labbra. Pinze e pesetti alle piccole labbra.

Non è da te, puttanella, urlare così acutamente. Devo chiudere la porta del tuo sgradevole singultare strilli. Ti tappo le labbra rosse. Respirerai col naso ogni stilla di sofferenza. Mai disturbarmi mentre lavoro, lo sai, è vietato. Questa è una regola non scritta ma vale per me, quindi, vale anche per te.

Non ci siamo neanche detti come ti chiami, come mi chiamo.

La prima volta non ci credevi, scommetto, che sarebbe andata proprio così.

Non sembro estremo come, di fatto, sono. Sono calmo nell'esporre e comprensivo nell'ascoltare. Sembrano favole le mie favole. La prima volta arrivasti, lo so, a sfiorare la safeword. E non solo una volta, e non solo quella volta.

La frusta tagliava la tua schiena in strie sottili come rasoiate, altrettanto brucianti. C'eri quasi a chiedere pietà, raccattare i tuoi vestitini da signora "bene" (non ti ho mai chiesto se sei sposata, dovrebbe interessarmi secondo te?) e scappare via, ancora mascherata come la puttana di un circo sadomaso.

Le chiavi del lucchetto le ho sempre in tasca, non le perdo ma senza quelle, esci così come sei, mascherata di vergogna nera. E' il prezzo della safeword: un miracolo di generosità, se abbandoni ti porti via pure il regalo della casa.

Pesetti alla passera e bocca tappata. Il collare fissato con catene ai quattro punti cardinali. La testa immobilizzata, Pinze sui capezzoli. Accendo il vibratore che ti avevo fissato nel buco posteriore.

Mugolii. Adoro i mugolii.

Grondare di umori. Ora l'incenso neanche si sente più.

Cambio la lametta. Peccato non ci siano più in giro i vecchi rasoi che usava mio nonno. Avrei volentieri affilato la lama sulla striscia di cuoio marrone che usava lui mentre mi parlava di donne e di comunismo, mentre si rasava in maglietta e mutandoni anteguerra.

Ti masturbo, un dito, due dita, tre. Scavo dentro di te, godo del tuo calore, della mucosa morbida che avvolge la mia mano, delle spinte oscene dei tuoi pelvi sul mio esplorarti da dentro.

Mugolii e risucchi. Lo so che ti cola il naso, lo so che stai quasi soffocando nell'orgasmo.

Ti taglio la pelle appena sopra il capezzolo destro, piano piano. Linea sottile, rossa, prima e poi stille di sangue colano sul seno come strie di cera.

Le tue contrazioni si fanno disperate e l'aria entra a stento tra il muco e i singhiozzi. Altro orgasmo, quasi la bestiolina mi squirta sulle mani.

Calma tesoro, ancora qualche orgasmo e un paio di tagli e per oggi abbiamo finito il lavoro.

In fondo marchiare una vacca non significa che poi, per forza, le devi dare un nome.

Non so neanche come ti chiami e dove abiti.

Un numero di cellulare per farti volare sei gradini sottoterra.

Non so neanche se davvero esisti oltre quei sei gradini.

Potresti essere chiunque incontro lungo la strada, di notte o di giorno.

Sei tutti e non sei nessuno.

Eppure ora sei mia.

1 commento:

  1. le parole che diventano brividi, emozioni a fior di pelle. complimenti!

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